lunedì 14 novembre 2011

IL CORAGGIO DELLA MORTE


"La Cittadella" fondata da Giusto Di Lorenzo
• Maggio - giugno 2010

• IL CORAGGIO DELLA MORTE (colloquio con una studentessa del Liceo Garibaldi)

• Serena evoca il tema della morte collegandosi a un grande filosofo greco (Socrate) e lo fa con accenti molto personali: riterrei che qualsiasi commento da parte mia potrebbe togliere, non certo aggiungere, lucidità. Posso solo osservare che, se è attuale la testimonianza etica di Socrate, ciò dipende dal fatto che anche il suo bivio teorico è rimasto intatto. Anche per noi del XXI secolo la morte o è annichilimento (e dunque non può costituire la porta di accesso a nessun inferno) o è transito ad un nuovo modo di esistere (Parnaso, Paradiso, Resurrezione, Metempsicosi…). In entrambi i casi, solo chi ha usato male la vita - per fare male e senza fare bene ad altri
 
- ha ragione di temere l'Al-di-là. Chi, pur fra errori e imperfezioni, ha cercato di vivere autenticamente non può che andare incontro alla morte con occhio curioso e cuore sereno.
L'invito - che ho lanciato nel primo numero di questo periodico - di farci "una bella ragionata" è stato accolto da più di un lettore. Puntata dopo puntata, spero che riusciremo a toccare tutti gli argomenti su cui qualcuno di voi vorrà attrarre l'attenzione. Cominciamo oggi con un tema davvero cruciale per noi tutti, sollevato da Serena Zaffuto (Palermo): "La morte è un argomento su cui nessuno può parlare con certezza perché nessuno sa realmente che cosa lo aspetti al termine della sua vita: e così nascono tutte le congetture, le teorie, addirittura le religioni. Insomma, è qualcosa che in tutti noi, da sempre, costituisce un punto interrogativo che allo stesso tempo ci affascina e spaventa, perché l’uomo ha timore di ciò che non conosce. Socrate, secondo me, ha dimostrato la sua saggezza quando, al processo, ha sostenuto: << Una di queste due cose è il morire: o è come un non essere più nulla; o è proprio, come dicono alcuni, una specie di mutamento e di migrazione dell’anima da questo luogo quaggiù a un altro luogo. E se è assenza di percezione come un sonno, quando dormendo non si vede niente, neanche un sogno, allora la morte sarebbe un meraviglioso guadagno.[…] Se d'altra parte la morte è un emigrare da qui a un altro luogo, ed è vero quel che si dice, che dunque tutti i morti sono là, o giudici, che bene ci può essere più grande di questo?>> Egli non ha paura della morte, di abbracciare qualcosa a lui sconosciuto: è pronto a scoprire cosa c’è dopo la fine della vita. La sua scelta non è unica nella storia dell’umanità: tutt’oggi gli uomini mettono a repentaglio, e a volte sacrificano la vita, in vista di un bene maggiore, la giustizia. Quanti uomini e donne abbiamo visto, per esempio, esporsi e lottare pubblicamente contro la mafia? La loro morte è stata sempre significativa, perché ha costituito un punto di svolta nella nostra società e ci sta permettendo, lentamente, di sconfiggere questa organizzazione criminale. In un film che ho visto un personaggio diceva :<< Non devi temere la morte, devi temere una vita non vissuta. Non è necessario vivere per sempre, basta solamente vivere>> ".

martedì 1 novembre 2011

LA LIBERTA’ DI RELIGIONE IN UNA SCUOLA MULTIETNICA

sdds“Repubblica – Palermo”
28 ottobre 2011
LA LIBERTA’  DI RELIGIONE IN UNA SCUOLA MULTIETNICA


Quando frequentavo il liceo, a ridosso del fatidico Sessantotto, la settimana di pasqua prevedeva un orario particolare. Lunedì e martedì uscita anticipata di due ore per gli ‘esercizi spirituali’, mercoledì non si entrava neppure: appuntamento in parrocchia per confessione annuale, messa e comunione eucaristica. No, non frequentavo una scuola cattolica confessionale, ma un istituto statale. E ciò che accadeva nella mia scuola era di fatto una consuetudine generale, almeno in Sicilia. Anni dopo un preside più coraggioso di altri si oppose alla prassi: scoppiò una polemica accesa, ma da quell’anno in poi tutti i licei cancellarono il “precetto pasquale” mattutino. Da allora, chi vuole, può decidere di dedicare alle meditazioni preparatorie e ai riti sacramentali qualcuna delle ore postmeridiane.
   La memoria di quegli eventi mi è stata rinfrescata dalla notizia che a Borgo Molara, tra Palermo e Monreale, su richiesta di una madre musulmana, la dirigente scolastica ha disposto che – per evitare di mettere in difficoltà psicologiche una bambina della scuola elementare – si eliminassero alcune pratiche cattoliche tradizionali: niente preghierina all’inizio delle lezioni, niente preparazione catechetica alle feste di natale e di pasqua durante le ore di insegnamento (tranne, ovviamente, l’ora di religione). Insomma, come ha dichiarato la nuova dirigente scolastica, Melchiorra Greco, si tratta di salvaguardare la laicità di “un’istituzione che deve vedere tutti egualmente rappresentati e garantiti”.  Secondo alcune notizie di stampa, un gruppo di genitori ha già preparato, con il sostegno del parroco don Pino Terranova, un documento di protesta indirizzato sia alle curie arcivescovili di Palermo e di Monreale sia all’Ufficio scolastico regionale.
     In questo frangente – lo dico subito – sarebbe disastroso che l’opinione pubblica democratica lasciasse la dirigente a combattere da sola la sua piccola – ma non trascurabile – battaglia per la legalità. Per fortuna, non siamo in terra leghista: la secolare tradizione siciliana di convivenza fra etnie, culture e religioni diverse (ebraica, cristiana, islamica) ci ha educati all’interazione e alla complementarietà (basti pensare ai capolavori dell’architettura arabo-normanna), che è molto di più della mera tolleranza. Bisogna spiegare, con rinnovata pazienza, ai genitori che la “identità” dei loro figli, in quanto siciliani, è un’identità multipla, meticcia: sono figli della cattolica Roma, ma prima ancora della filosofica Atene e della ebraica Gerusalemme, senza contare le tracce perduranti e pervasive della civiltà islamica. E, soprattutto, che sono figli della democrazia repubblicana costruita, con il sangue degli italiani migliori, sulle macerie di un regime che per un ventennio ha utilizzato la religione cattolica come simbolo identitario in funzione di progetti (vanamente, ridicolmente) imperialistici.
      Se poi questi genitori sono davvero credenti nel vangelo di Gesù, qualche teologo un po’ aggiornato potrebbe spiegare che proprio la fede cristiana – autenticamente interpretata – è refrattaria a ridursi, da messaggio universale, a patrimonio distintivo di una determinata nazione o, addirittura, regione. Secoli di commistione fra trono e altare, di confusione fra reati e peccati, di privilegi concordatari a favore della chiesa cattolica romana, hanno forse evitato la secolarizzazione galoppante? Hanno forse prodotto generazioni di cristiani sinceri, convinti, coerenti, istruiti biblicamente e impegnati socialmente? 
 L’originalità del cristianesimo è proprio di essere una proposta di vita al di là, al di sopra, delle differenze fra “uomini e donne, liberi e schiavi, greci e giudei”: quando lo si abbassa a bandiera di parte, lo si prostituisce; lo si abbandona alla strumentalizzazione dei potenti di turno.

                                                                Augusto Cavadi